Semaforo rosso
Sentendo parlare della crisi finanziaria Giulio Tremonti, così colto ed etico, vien quasi voglia di dargli ragione. Ma la realtà dei provvedimenti degli ultimi anni è diversa
Giulio Tremonti
Per questo si devono vietare i paradisi legali". Insomma occorre tornare a "princìpi simili a quelli del New Deal". Poesia pura. Ma chi varò, nel 2001, lo 'scudo fiscale' che consentiva agli esportatori di capitali e alle grandi organizzazioni criminali di rimpatriare i loro miliardi dai paradisi fiscali, in forma anonima e pagando il 2,5 per cento allo Stato? Sempre Tremonti. E chi, secondo la Kpmg e i giudici di Milano, nascondeva 64 società extrabilancio nei paradisi fiscali? Silvio Berlusconi, il capo di Tremonti. Un sistema, più che da New Deal, da New Dillinger. Ora però il ministro convertito ha la grande occasione di redimersi. Basta infilare nella legge salva-banche una clausoletta di due-righe-due: niente aiuti di Stato agli istituti impegnati in paesi offshore o che prestino denaro a società con filiali caraibiche.
Gliel'ha suggerito il pm Francesco Greco sulla 'Stampa', dopo aver chiesto 13 anni per Calisto Tanzi e spiegato come il crack Parmalat sarebbe stato impossibile senza i paradisi fiscali e la totale mancanza di controlli: "Chi ha accettato i meccanismi di (non) tassazione delle stock options e delle operazioni in paradisi fiscali?". Già, indovinate un po' chi è stato. All'ultimo vertice europeo, quando Sarkozy ha annunciato guerra aperta ai paradisi fiscali, Berlusconi - restando serio - gli è andato dietro: "I paradisi fiscali sono illegali, e noi da sempre siamo assolutamente contrari, sono scappatoie punibili dalla legge. Combatteremo l'evasione fiscale".
Parola di intenditore, imputato nel processo Mediaset (appena sospeso dal lodo Alfano) per frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita, con l'accusa di aver gonfiato i costi di film acquistati negli Usa facendoli fittiziamente passare da una società offshore all'altra. Intanto a New Haven (Connecticut) sta per chiudersi il processo ai manager dei colossi assicurativi Aig e General Re: accusati di frode, falso in bilancio e false comunicazioni all'autorità di Borsa, gli imputati rischiano addirittura l'ergastolo. In Italia, grazie alla controriforma dei reati societari, rischierebbero al massimo una prescrizione. E chi era ministro dell'Economia nel 2002, ai tempi della controriforma? Tremonti. Quello che ora invoca semafori, vigili e multe. Che fa, concilia?
2 commenti:
E' proprio questo modo di fare che induce la gente a non capirci più nulla: mancanza di vera informazione sullo storico delle persone e dei provvedimenti da loro adottati e intorbidimento delle idee. Non far capire più a nessuno chi crede cosa.
Così successe che il salvamanager venne introdotto ed eliminato dalla stessa parte politica (destra), così succede che ciò che oggi Alfano ha proposto è già stato bocciato e sarà modificato. Non farci capire più nulla!!!!E così via... E' questo che vogliono e che stanno ottenendo. E poi la gente dice: sono tutti uguali. PER NULLA. Bisogna essere critici nei confronti di tutti, ma anche lucidi nel leggere le cose.
Certo, è proprio così, con l'aggravante che in questo modo, oltre a creare confusione nell'opinione pubblica, trovano terreno fertile per una futura approvazione della legge, dal momento che la percezione diventa quella di un provvedimento che è stato scritto, valutato, corretto e quindi convalidato dopo un'apparente dibattimento che conferisce allo stesso credibilità e consenso. E' una costruzione di finta democrazia, dove le stesse persone propongono e criticano le prorie leggi, creando un ambiente virtuale di dialogo e consultazione che in realtà è assente. Questo però, mi dispiace come al solito ammetterlo, è colpa soprattutto della sinistra, troppo dormiente per sfruttare al meglio gli svarioni del governo trasformandoli in propri punti di forza....così facendo da modo all'opposizione di rimpossessarsi dei propri errori, che vengono prontamente riconvertiti e riproposti mantenendo vivo quell'alone di "governo del fare" su cui hanno costruito il consenso.
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