Per chi non avesse seguito la puntata di Matrix di ieri sera (27 gennaio 2009) consiglio di cercarne qualche stralcio prossimamente su youtube.
mercoledì 28 gennaio 2009
La bufala dell'archivio Genchi
lunedì 26 gennaio 2009
Io so. Marco Travaglio
Da "Voglio Scendere"....
25 gennaio 2009, in Marco Travaglio
Tutto quello che leggete è falso
(Vignetta di Natangelo)
venerdì 23 gennaio 2009
L'addio all'Anm della Pm di Salerno Gabriella Nuzzi, trasferita dal Csm
Alla Associazione Nazionale Magistrati - Roma
"Signor Presidente,
Le comunico, con questa mia, l’irrevocabile decisione di lasciare l’Associazione Nazionale Magistrati.
Il plauso da Lei pubblicamente reso all’ingiustizia subita, per mano politica, da noi Magistrati della Procura della Repubblica di Salerno è per me insopportabilmente oltraggioso.
Oltraggioso per la mia dignità di Persona e di essere Magistrato.
Sono stata, nel generale vile silenzio, pubblicamente ingiuriata; incolpata di ignoranza, negligenza, spregiudicatezza, assenza del senso delle istituzioni; infine, allontanata dalla mia sede e privata delle funzioni inquirenti, così, in un battito di ciglia, sulla base del nulla giuridico e di un processo sommario.
Per bocca sua e dei suoi amici e colleghi, la posizione dell’Associazione era già nota, sin dall’inizio.
Quale la colpa? Avere, contrariamente alla profusa apparenza, doverosamente adottato ed eseguito atti giudiziari legittimi e necessari, tali ritenuti nelle sedi giurisdizionali competenti.
Avere risposto ad istanze di verità e di giustizia. Avere accertato una sconcertante realtà che, però, doveva rimanere occultata.
Né lei, né alcuno dei componenti dell’associazione che oggi degnamente rappresenta ha sentito l’esigenza di capire e spiegare ciò che è davvero accaduto, la gravità e drammaticità di una vicenda che chiama a riflessioni profonde l’intera Magistratura, sul suo passato, su ciò che è, sul suo futuro; e non certo nell’interesse personale del singolo o del suo sponsor associativo, ma in forza di una superiore ragione ideale, che è – o dovrebbe essere – costantemente e perennemente viva nella coscienza di ogni Magistrato: la ricerca della verità.
Più facile far finta di credere alla menzogna: il conflitto, la guerra tra Procure, la isolata follia di “schegge impazzite”.
Il disordine desta scandalo: immediatamente va sedato e severamente punito.
Il popolo saprà che è giusto così.
E il sacrificio di pochi varrà la Ragion di Stato.
L’Associazione non intende entrare nel merito. Chiuso.
Nel dolore di questi giorni, Signor Presidente, il mio pensiero corre alle solenni parole che da Lei (secondo quanto riportato dalla stampa) sarebbero state pubblicamente pronunciate pochi attimi dopo l’esemplare “condanna”: “Il sistema dimostra di avere gli anticorpi”.
Dunque, il sistema, ancora una volta, ha dimostrato di saper funzionare.
Mi chiedo, allora, inquieta, a quale “sistema” Lei faccia riferimento.
Quale il “sistema” di cui si sente così orgogliosamente rappresentante e garante.
Un “sistema” che non è in grado di assicurare l’osservanza minima delle regole del vivere civile, l’applicazione e l’esecuzione delle pene?
Un “sistema” in cui vana è resa anche l’affermazione giurisdizionale dei fondamentali diritti dell’essere umano; ove le istanze dei più deboli sono oppresse e calpestato il dolore di chi ancora piange le vittime di sangue?
Un “sistema” in cui l’impegno e il sacrificio silente dei singoli è schiacciato dal peso di una macchina infernale, dagli ingranaggi vetusti ed ormai irrimediabilmente inceppati?
Un “sistema” asservito agli interessi del potere, nel quale è più conveniente rinchiudere la verità in polverosi cassetti e continuare a costellare la carriera di brillanti successi?
Mi dica, Signor Presidente, quali sarebbero gli anticorpi che esso è in grado di generare? Punizioni esemplari a chi è ligio e coraggioso e impunità a chi palesemente delinque?
E quali i virus?
E mi spieghi, ancora, quale sarebbe “il modello di magistrato adeguato al ruolo costituzionale e alla rilevanza degli interessi coinvolti dall’esercizio della giurisdizione” che l’Associazione intenderebbe promuovere?
Ora, il “sistema” che io vedo non è affatto in grado di saper funzionare.
Al contrario, esso è malato, moribondo, affetto da un cancro incurabile, che lo condurrà inesorabilmente alla morte.
E io non voglio farne parte, perché sono viva e voglio costruire qualcosa di buono per i nostri figli.
Ho giurato fedeltà al solo Ordine Giudiziario e allo Stato della Repubblica Italiana.
La repentina violenza con la quale, in risposta ad un gradimento politico, si è sommariamente decisa la privazione delle funzioni inquirenti e l’allontanamento da inchieste in pieno svolgimento nei confronti di Magistrati che hanno solo adempiuto ai propri doveri, rende, francamente, assai sconcertanti i vostri stanchi e vuoti proclami, ormai recitati solo a voi stessi, come in uno specchio spaccato.
Mentre siete distratti dalla visione di qualche accattivante miraggio, faccio un fischio e vi dico che qui sono in gioco i principi dell’autonomia e dell’indipendenza della Giurisdizione. Non gli orticelli privati.
Non vale mai la pena calpestare e lasciar calpestare la dignità degli esseri umani.
Per quanto mi riguarda, so che saprò adempiere con la stessa forza, onestà e professionalità anche funzioni diverse da quelle che mi sono state ingiustamente strappate, nel rispetto assoluto, come sempre, dei principi costituzionali, primo tra tutti quello per cui la Legge deve essere eguale per deboli e potenti.
So di avere accanto le coscienze forti e pure di chi ancora oggi, nonostante tutto, crede e combatte quotidianamente per l’affermazione della legalità.
Ed è per essa che continuerò sempre ad amare ed onorare profondamente questo lavoro.
Signor Presidente, continui a rappresentare se stesso e questa Associazione.
Io preferisco rappresentarmi da sola".
Dott.ssa Gabriella NUZZI
Magistrato
giovedì 22 gennaio 2009
Da stampa francese...
Alitalia, i francesi ringraziano
Air France-Klm ha fatto un affare, concluso dopo mesi di trattative. Grazie a Silvio Berlusconi e a spese degli italiani.
Come si dice "finalmente" in italiano? Dopo più di due anni di piani abortiti, di interventi politici intempestivi e di colpi di scena dell'ultimo minuto, Air France-KLM è finalmente riuscita ad entrare nel capitale di Alitalia.La tenacia di Jean-Cyrill Spinetta, il suo presidente, ha dato i suoi frutti. E anche se non si tratta di un matrimonio particolare, la data merita di essere ricordata.
Con la partecipazione del 25%, la società franco-olandese assicura la propria posizione nel quinto mercato europeo, uno dei più redditizi. Si rafforza la priorità di accesso a un vasto bacino di oltre 24 milioni di passeggeri, quasi 11 milioni di viaggiatori internazionali. E, con Roma, ha una nuova testa di ponte sul continente, complementare ai suoi hub di Amsterdam e Parigi.
Questo successo le offre un vantaggio sui concorrenti nel processo di consolidamento dei cieli europei. Con questo accordo, Air France-KLM taglia l'erba sotto i piedi di Lufthansa, che avrebbe visto con piacere la nascita di una dorsale Berlino-Vienna-Milano. In questa corsa alla supremazia continentale, il gruppo distanzia anche British Airways, che fatica a concludere la sua alleanza con la spagnola Iberia. Soprattutto perché, a partire dal 2013, la coppia franco-olandese potrebbe aumentare la sua partecipazione in Alitalia e costruire così una vera e propria struttura paneuropea integrata.
Non male per un'operazione il cui costo, limitato a 300 milioni di euro, è tutto sommato ragionevole. C'è da chiedersi se Silvio Berlusconi non abbia fatto un grande favore ad Air France-Klm nell'aprile del 2008, quando ha fatto fallire il progetto di vendita per 1,5 miliardi di euro in nome "dell'italianità". Negli ultimi mesi, Alitalia ha compiuto gran parte della sua ristrutturazione. Non è più quel vettore malato che perdeva un milione di euro al giorno, ma un gruppo alleggerito dei suoi debiti e rafforzato dopo la fusione con Air One.
Resta senza dubbio la questione del rapporto con i sindacati e restano i articolarismi regionali dell'Italia. Ma Air France-Klm, forte di cinque anni di successi, ha dimostrato di saper gestire al meglio questo genere di problemi.
L'articolo originale potete trovarlo qui.
Non vorrei commentare ulteriormente l'articolo, ho già postato diverse volte in merito all'argomento e ogni giorno che passa si rafforza in me l'idea che stiamo diventando un popolo di stolti e di ingenui.
Tutto era lì, alla luce del sole, un bambino avrebbe identificato subito i ladri e i venduti del nostro panorama politico. Invece noi, adulti, ci vantavamo dell'italianità, dei nostri top-manager (Colaninno, Ligresti, Benetton, Toto etc.). Risultato: licenziamenti triplicati, soldi buttati e debiti che pagheremo noi e i nostri figli. Era la cosa più insulsa che un politico potesse fare: giocare sulla pelle dei propri cittadini a soli fini propagandistici......eppure abbiamo digerito anche questa.
Buon appetito allora....avremo molto altro da mangiare!
lunedì 12 gennaio 2009
venerdì 9 gennaio 2009
...Ama il prossimo tuo come te stesso...
E' evidente, che qualcuno intenda il prossimo come "il successivo" ossia "questo no, magari il prossimo..."
Trovo geniale, come subito all'inizio di questo articolo, Gian Antonio Stella, usi la parola "cattolicissimo". (articolo preso dal corriere della sera di oggi, 9 Gennaio 2009)
Tutto il resto, lo lascio giudicare a voi...per quanto ci sia ben poco da giudicare...
...al limite, c'è da pensare e condannare...
Gabriele
In difesa dei clochard lasciati al gelo
Da Mestre a Genova, la linea dura con gli emarginati. Stazioni chiuse di notte, coperte negate, «bravate»
«Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo», spiega Gesù nel Vangelo di Matteo. Eppure non passa giorno nel nostro (sedicente) cattolicissimo Paese senza che tanti (sedicenti) cattolici con la bocca piena di parole bellicose in nome delle tradizioni cattoliche mostrino un quotidiano disprezzo verso chi «non ha dove posare il capo». Un esempio? L'altolà della polizia ai volontari che portavano tè caldo ai clochard rifugiati nella stazione di Mestre: «Non avete l'autorizzazione». La stazione di Mestre
FEROCIA BUROCRATICA - Degno cesello all'ottusa resistenza opposta dalla società Grandi Stazioni al Prefetto che in questi giorni di neve e gelo, segnati dalla morte di un clochard a Vicenza, ha dovuto fare la faccia dura per ottenere che gli androni delle due stazioni veneziane non fossero più chiusi e sbarrati dall'una di notte alle cinque di mattina. Quello della città serenissima, dove la Regione ha drasticamente tagliato negli ultimi due anni gli aiuti ai senzatetto (ai quali destina un quarto della somma stanziata per le feste di compleanno della Repubblica del Leon) è però soltanto l'ultimo di una catena di episodi che marcano una continua e progressiva indifferenza, se non proprio insofferenza, nei confronti degli «ultimi tra gli ultimi». Basti ricordare la morte di «Babu» sotto i portici del Teatro Carlo Felice di Genova dopo la sbrigativa operazione di «pulizia» (o «polizia»?) con la quale alla vigilia di Natale erano state buttate via le coperte «sporche» regalate ai senzatetto dalla Caritas. O la bravata criminale dei quattro teppisti riminesi che hanno dato fuoco a un clochard «per noia». O ancora la motivazione surreale della multa di 160 euro data a fine dicembre da certi poliziotti fiorentini a poveracci che passavano la notte all'addiaccio: «Dormiva in modo palesemente indecente».
DECORO - «Il decoro! Il decoro!». Questa è l'obiezione che si leva. La stessa che ha spinto il Comune di Verona, guidato da Flavio Tosi, a pretendere che la carta d'identità dei «barboni» venisse cambiata. Prima, alla voce «indirizzo », c'era scritto: «Via dell'Accoglienza». Un piccolo eufemismo, un po' ingenuo, per non marchiare il titolare del documento. Adesso no: «Senza indirizzo ». Per carità: ineccepibile. Però, «dietro», c'è tutta una filosofia. Sempre più tesa a tenere ben separati «noi» e «loro». Sempre più allergica a chi «rovina» l'immagine delle città. Sempre più sbuffante verso gli emarginati. Fino a spingere tempo fa l'allora sindaco di Vicenza Enrico Hullweck a vietare l'accattonaggio ai medicanti affetti da «deformità ributtanti». Una definizione che, al di là delle colpe di certi truffatori (da colpire: ovvio), suonava oscena e offensiva per ogni disabile. Eppure, quei «barboni» che oggi danno tanto fastidio a una società spesso indecente ma ringhiosa custode del feticcio della «decenza», sono una parte della nostra vita.
DA SEMPRE - Della vita religiosa, come ricorda la scena di San Francesco che dona il mantello a un povero nel ciclo di affreschi di Assisi attribuiti a Giotto. Della vita musicale, come ci rammentano le storie del suonatore di organetto che cammina scalzo nella neve, ne Il viaggio d'inverno di Franz Schubert, senza incontrare chi gli metta un centesimo nel cappello oppure della Frugola che ne Il tabarro di Giacomo Puccini, è «perennemente intenta a rovistare tra i rifiuti». Fanno parte della nostra vita letteraria, dal barbone Micawber nel David Copperfield di Charles Dickens all'Andreas Kartack de La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth fino a Il segreto di Joe Gould, il brillante intellettuale laureato ad Harvard che aveva deciso di vivere da clochard per scoprire l'essenza dell'uomo «tra gli eccentrici, gli spostati, i tubercolotici, i falliti, le promesse mancate, le eterne nullità» e insomma tutti quelli senza casa: «gli unici tra i quali mi sono sempre sentito a casa». Per non dire del cinema, dall'irresistibile Charlot il vagabondo al tenerissimo Miracolo a Milano di Vittorio De Sica, da Archimède le clochard con Jean Gabin al Bodou salvato dalle acque di Jean Renoir fino a La ricerca della felicità, di Gabriele Muccino, benedetto da trionfali successi al botteghino. Prova provata di come in tanti riusciamo a palpitare e commuoverci e fare la lacrimuccia per le sventure di Copperfield o di Will Smith, costretto dalla corte a vivere come un barbone. E usciti dal cinema scansano l'ubriacone a terra sul marciapiede: «Dio, quanto puzza! ». Eppure, le cronache di questi anni ci hanno insegnato a conoscere un po' di più, i nostri «santi bevitori». Finiti spesso sotto i ponti, dicono i dossier, magari solo perché lo Stato, dopo aver abolito l'orrore dei manicomi, si è dimenticato di trovare delle alternative decenti per coloro che non ce la fanno ad affrontare da soli l'esistenza e non hanno una famiglia in grado di farsi carico del fardello. Oppure perché travolti da rovesci della vita. O sconvolti dal tradimento delle persone in cui credevano. O schiacciati da un dolore troppo grande.
PIRANDELLO, ODESCALCHI, BOBBO -Persone come Luigi Pirandello, che aveva capelli lunghi e barba, era omonimo dello scrittore di cui il padre era cugino, aveva studiato, parlava inglese e francese ma girava nel centro di Roma spingendo un carretto dove raccoglieva cartoni. O Filippo Odescalchi, figlio di don Alessandro Maria Baldassarre, principe del Sacro Romano Impero, discendente di papa Innocenzo XI, che abbandonò all'inizio degli Ottanta il palazzo di famiglia in piazza Santi Apostoli per andare ad abitare sotto il colonnato di Palazzo Massimo insieme con una donna e un barbone che indossava sempre il frac e il papillon, si presentava come «Ele D'Artagnan, attore cinematografico, figlio del grande Toscanini» e chiedeva a tutti un appuntamento con Federico Fellini: «Deve darmi una buona parte nel prossimo film perché poi ho deciso che mi ritiro». Persone come Eugenia Bobbo, che in gioventù era stata una bellissima ragazza di Chioggia e aveva fatto perdere la testa a un erede di José Echegaray y Eizaguirre, matematico, drammaturgo, politico, ministro spagnolo, insignito nel 1904 del Nobel per la letteratura. Rimasta vedova, si era lasciata andare. Quando morì, i giornali scrissero che «per trent'anni aveva vissuto da barbona sotto i portici di palazzo Ducale, tra una panchina di marmo e la quinta finestra al pianterreno », che «parlava quattro o cinque lingue, aveva una cultura impressionante e in trent'anni non aveva mai chiesto l'elemosina» e viveva delle premure di un po' di nobildonne, prima fra tutte la spagnola Duchessa di Alba e raccontava: «A teatro, quand'ero giovane, tutti i binocoli erano puntati su di me». Persone che, per i motivi più diversi, si lasciano alle spalle tutto. E alle quali, oltre a qualche coperta in questi giorni di gelo, una cosa almeno la dobbiamo: un po' di rispetto. Rifugio dal gelo La stazione di Mestre
09 gennaio 2009